“Tutti nascono anonimi
come me, in una anonima Ajaccio, in un’anonima isola, in un anonimo 15 Agosto,
di un anonimo 1769, da due anonimi Carlo e Letizia Ramolino; solo dopo
diventano qualcuno; e se prima di ogni altra cosa sono capaci di non deludere
se stessi, anche la volontà divina si manifesta sull'uomo”… Così scriveva il Piccolo Corso nel Memoriale di Sant'Elena … Ormai battuto, sconfitto,
imprigionato in un’isoletta così distante dalla sua Europa tanto amata, sognata,
toccata, ma mai avuta del tutto; eppure, sebbene non più vittorioso, continuò
ad essere Imperatore fino al suo ultimo respiro avvenuto alle 17: 49 del 5
Maggio 1821.
Molte sono le lodi tessute
a questo Grande uomo, molte sono le critiche. Individui come il suddetto sono magnanimi che compaiono
poche volte nella Storia; fulgidi lumi che irradiano la propria epoca di
meraviglia, di orrore, di gloria, di distruzione, di speranza e di grandezza.
Senza dubbio portano con loro anche devastazioni, ma tutti i grandi cambiamenti, le grandi rivoluzioni sono avvenute e avverranno solo dopo spargimenti di sangue.
Sognatore, precursore e
plasmatore dell’Europa: “Abbiamo bisogno
di una legge europea, di Paesi e di misure uguali, abbiamo bisogno delle stesse
leggi per tutta Europa. Voglio fare di tutti i popoli europei un unico popolo …”.
Fu l’iniziatore dei tempi moderni, colui
che, paradossalmente, nel suo progetto di unificazione universale, diede vita
ai patriottismi, ai sentimenti di riscatto nazionale e a tutti i pensieri
politici che seguirono la sua caduta.
Aah, quanto gli dobbiamo
… I Codici Civili europei affondano le loro radici nel Codice Napoleonico,
tutte le unità di misura odierne (metro, litro, ec.) devono la loro creazione
all’ultimo vero Imperatore che il mondo abbia conosciuto, ma soprattutto
bisogna ringraziarlo, specialmente noi italiani, poiché senza le sue immortali
gesta la nostra Penisola non si sarebbe svegliata, ribellata allo straniero e
non sarebbe risorta.
Alessandro Manzoni
nella sua più celebre poesia si domandò e si rispose nel seguente modo :- Fu
vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza - .
Riportiamo qui di seguito la sublime poesia di colui che scrisse uno dei più famosi romanzi che l'uomo abbia mai concepito, "I Promessi Sposi".
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
che più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Riportiamo qui di seguito la sublime poesia di colui che scrisse uno dei più famosi romanzi che l'uomo abbia mai concepito, "I Promessi Sposi".
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
che più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Ci sono uomini che vivono e muoiono all'ombra dei propri ulivi. Altri cambiano il mondo, anche quando battuti.
Lorenzo De Vita
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